Intelligenza artificiale tra fantascienza, marketing e realtà

Da Čapek e Asimov in avanti, il tema dell'Intelligenza Artificiale (IA) ha affascinato milioni di persone. Oggi viviamo una stagione in cui molte delle applicazioni che fino a ieri erano relegate alla fantascienza sono diventate realtà. Ed è difficile, a volte anche per gli addetti ai lavori, distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginario. Come se non bastasse, ad alimentare la confusione è entrato in gioco anche il marketing: infatti, visto l’hype attuale, i nuovi prodotti/servizi devono forzatamente essere dotati di IA per essere cool. Di conseguenza, spesso si parla di IA anche quando questa, in effetti, non c'è.

Ma cos’è quindi l’Intelligenza Artificiale?

Effettivamente il termine IA nasce nei racconti di fantascienza e si riferisce alla capacità delle macchine – in genere robot umanoidi – di comportarsi come gli esseri umani. Oggi ci si riferisce a quell’affascinante idea con il termine intelligenza artificiale generale o completa e, almeno per ora, rimane qualcosa di lontano dalla realtà. In ambito più propriamente scientifico, l’IA è una disciplina vasta, che si basa su un concetto fondamentale dell'informatica: quello di algoritmo. Un algoritmo è una serie di istruzioni (il programma) che vengono eseguite da un computer, leggendo degli input e producendo degli output.

Per esempio, un semplice algoritmo può avere due numeri come input e restituire la loro somma come output. È chiaro che per un algoritmo così semplice non si parla di Intelligenza Artificiale. Si può parlare di IA quando l’input è più complesso, come per esempio un insieme di video e dati di altri sensori installati su un'automobile, e l’output è più elaborato, come per esempio accelerare, frenare, sterzare, cioè… guidare. Le auto a guida autonoma sono ormai sulle nostre strade e si può sicuramente dire che siano dotate di IA.

Non basta però la complicatezza dell’algoritmo per parlare di IA perché, in fin dei conti, tutte queste istruzioni che definiscono l’output sulla base dell’input sono scritte da un essere umano. Esiste però una nuova modalità per definire gli algoritmi, in cui essi sono scritti in modo che imparino dall’esperienza: è il cosiddetto machine learning. In questo contesto, il programmatore non specifica in modo esaustivo alla macchina che operazioni fare, ma fornisce esempi di input e di corrispettivi output desiderati. L’algoritmo modifica automaticamente il proprio comportamento sulla base degli esempi forniti, così come accade in un processo di apprendimento.

Tra gli algoritmi più interessanti per fare machine learning c’è il cosiddetto deep learning in cui delle reti neurali artificiali sono formate da numerosi blocchi elementari interconnessi che si attivano in modo simile alle sinapsi biologiche del cervello. L’output dell’algoritmo emerge dall’interazione complessa di entità più semplici, così complessa che risulta difficile riuscire a capire perché un algoritmo abbia dato una certa risposta. Questa nuova modalità di programmare le macchine apre una serie di interessanti problematiche, anche etiche. E se succede qualche guaio, per esempio un incidente automobilistico, di chi è la colpa? Molti problemi sono aperti e molte discipline sono coinvolte (giurisprudenza, medicina, economia, filosofia, psicologia, sociologia, solo per citarne alcune).

I risultati eclatanti di queste tecniche non mancano, ci sono già molti ambiti in cui le macchine hanno esibito prestazioni super-umane e ogni mese questa lista cresce (cfr. https://aiindex.org): il gioco degli scacchi, il gioco del Go, la lettura del labiale, il riconoscimento nei maligni, eccetera, eccetera.

La grandissima e crescente disponibilità di dati digitali che descrivono il nostro mondo alimenta questa affascinante corsa verso la fantascienza... che periodo straordinario per essere vivi!